Da Silvana Ruggiero ricevo e pubblico una riflessione sull'8 marzo
L' 8 marzo, festa della retorica, di frasi fatte, di banalità, mimose a iosa, cene fra donne... questa è la routine di una ricorrenza che dovrebbe ricordare un terribile incendio in una fabbrica, ma quasi nessuno lo sa o ci pensa. Basta con questa festa che dovrebbe essere solo una commemorazione, un sacrificio di vite che oggi le donne continuano a pagare per l'utopia delle pari opportunità, per le violenze fisiche e psicologiche che subiscono da parte degli uomini. Uomini e donne da sempre divisi da differenze che spesso nascono dalla confusione tra natura e cultura, nel senso che il fatto "naturale" di essere donna spesso equivale ad una condizione "culturale" di inferiorità. Così come non è la natura a conferire agi uomini il senso di autosufficienza, bensì la cultura, per la quale vengono educati fin dalla nascita all'indipendenza, mentre le donne vengono incoraggiate alla dipendenza. Uomini partoriti dalle donne (come canta Mia Martini) ma che divengono spesso i loro aguzzini.
Mi piacerebbe ricordare questo giorno che l'happening demagogico lo colma di ipocrisia, con le immagini di Francesca Porcellato, atleta paraolimpica di 39 anni, alla vigilia dei giochi di Vancouver. La sua emozione è come una forza dirompente di comunicazione emotiva che le donne, anche nella disabilità, portano con sé.
Mi piacerebbe ricordare che a fianco delle donne vittime di violenza sessuale o di percosse fisiche, c’è un altro mondo sommerso di donne che meritano il nostro affetto, la nostra considerazione, ma soprattutto il nostro rispetto: sono le donne che accudiscono, proteggono, aiutano a vivere, ogni giorno, migliaia di persone con grave disabilità, non autosufficienti, in casa, nella propria dimora, nella propria famiglia, e non in una camerata di istituto. Vengono alla ribalta solo quando la cronaca si fa drammatica, o la mancanza di aiuti risulta così sfacciata da non poter essere del tutto ignorata. Sono lì, tutti i giorni, tutte le notti, tutto l’anno, e non mollano mai, rinunciando molto spesso alla propria esistenza di donne libere, in grado di programmare una gita, un weekend, un giro di shopping, una sera a teatro. Sono queste donne a rappresentare in buona misura la salvezza e l’esistenza in vita per tanti, tantissimi disabili non autosufficienti. Ecco vorrei che almeno ci pensassimo un po’ di più in questa giornata.
Mi piacerebbe ricordare le donne che vengono da lontano, e che ora sono qui, nel nostro Paese, lasciando nel loro cuore il dolore per una famiglia abbandonata e divisa solo per cercare di sopravvivere economicamente. Le etichettiamo come badanti, le mettiamo in regola solo dopo averle considerate clandestine, chiamate a risolvere i nostri problemi, a mettere le mani sui nostri cari in cambio di denaro.
Mi piacerebbe un 8 marzo dedicato alla dignità delle donne con disabilità e a alle donne vicine alla disabilità.
Mi piacerebbe che non ci fosse una giornata dedicata alle donne, ma ci fossero più donne che in una giornata riuscissero a cambiare il loro percorso... tanto da divenire da vittime della storia a protagoniste della vita.
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