Mi occupo ancora di Aspra Calabra e degli interventi che sono seguiti alla sua ripubblicazione. Oggi ho letto una replica di Aldo Varano che, definendo la scelta di Rubbettino di riproporre il lavoro di Bocca un "incidente culturale", ha scatenato diverse reazioni. Sostiene cose anch'esse interessanti e condivisibili.
Nei giorni scorsi aveva scritto Vittorio Cappelli, direttore della collana “Viaggio in Calabria”, in cui compare ora il testo di Bocca, che sostiene che ...Per capire davvero (la Calabria, ndr), ..., occorrono sia l'estraneità che la vicinanza, sia la freddezza che il calore. Sia la ragione che il sentimento, potremmo dire ancora, sia la condivisione che la presa di distanza. Solo così si può pensare di decifrare il mix micidiale di arcaico e post moderno della Calabria più recente (Cersosimo), la novità di territori locali globalizzati, non più leggibili in termini di arretratezza (Perna). Ecco, ho l’impressione che in questa discussione qualcuno non riesca a prendere le distanze. Che la reattività dell’orgoglio ferito impedisca di guardare dritto al cuore dei nostri mali e, ancor più, vieti la possibilità di sopportare la durezza dei giudizi altrui. Tutti gli intervenuti conoscono certamente la Calabria dall’interno e dunque a Bocca, ma anche a Scalfari, ribattono sottolineando la complessità della Calabria, richiamando i suoi dinamismi interni, sia in prospettiva storica che nella sua attuale articolazione sociale, e rammentando, infine, gli infiniti torti subiti. Ma così ho il timore che si corra il rischio di camminare su un crinale, da cui si può facilmente cadere in quell’eterno vittimismo autoreferenziale, che non è di sicuro la strada migliore per illuminare i nostri “mali oscuri”... Ma credo che non si possa assecondare chi taccia di “piemontese” Giorgio Bocca (e, forse per non farne un caso personale, anche Norberto Bobbio). Così facendo, finiamo diritti in braccio alle ottocentesche “briganteidi” di Nicola Misasi e ai novecenteschi “terroni” di Pino Aprile. E non ne abbiamo alcun bisogno....
Sulla falsariga di Cappelli interviene Domenico Talia ...Faremmo tutti un errore nell'assumere un atteggiamento difensivo rispetto agli scritti di Bocca, magari affidando ad altre e lontane responsabilità le colpe per le difficoltà antiche e moderne della Calabria e del Sud d'Italia. Come se noi fossimo privi di responsabilità per il difficile stato di cose della nostra terra e tutto fosse determinato a Roma, a Milano o a Torino. Al contrario, siamo tutti responsabili in Calabria, ognuno per la propria parte, ed in misura più o meno simile ai molti responsabili di tante arretratezze della Calabria che stanno a Roma, a Milano o a Torino. Per queste ragioni non è certo l'alienazione dalla responsabilità o addirittura dalla colpa che può migliorare la situazione di un regione che è in forte difficoltà, ma che nel contempo non è l'inferno, perché presenta tanti aspetti positivi che spesso da Roma o da Milano non vengono visti o quando vengono visti generano una ipocrita sorpresa, quasi che in Calabria non possano esistere cittadini, imprese o fatti virtuosi e in tanti casi anche di eccellenza. ...Tuttavia, nessuno in buona fede può pensare che il mare sporco, la violenza barbara delle faide, i voti acquistati per 100 euro, le case costruite in ogni dove e mai finite, le 'ndrine, i mille clientelismi a cui assistiamo quotidianamente, siano colpa di Giorgio Bocca...
Allo stesso modo, dobbiamo imparare che rispondere soltanto con il consueto e trito orgoglio di meridionali alla ostentata superiorità di qualche giornalista piemontese non serve a rendere migliore la nostra regione. Sono i fatti quelli che contano e pesano, molto più delle parole e dell'alterigia. Impariamo ad assumerci le nostre responsabilità e saremo più credibili quando richiameremo le classi dirigenti nazionali alle loro responsabilità che sono molte o quando ricorderemo a giornalisti, anche prestigiosi, che anche da parte loro è necessaria e dovuta una onesta attenzione per una regione che è ancora schiacciata tra uno Stato e una politica nazionale che non si interessano ad una terra di margine come la nostra e che spesso sono stati alleati o dirigono le tanti classi dirigenti calabresi subalterne al potere centrale e che hanno costruito e mantenuto il loro potere locale sulle clientele e sul bisogno tenendo la Calabria lontana dallo sviluppo. Questi signori hanno certamente più colpe di Giorgio Bocca nel dileggio della Calabria.
Ma sono alcuni passaggi del contributo di Domenico Minuto che forse offrono spunti più stimolanti ...Eugenio Scalfari riflette angosciato su tante realtà di inciviltà e cattiveria che ci sono oggi in Calabria, affermando che “la zoologia è cambiata, ma i cuori sono sempre di tenebra” e concludendo che si può soltanto sperare “che alla fine la brava gente vincerà”. Non crede che ciò avverrà e nemmeno io ci credo, ma la virtù della speranza è un dovere. Tonino Perna, invece, afferma che stia emergendo un altro Sud... A me sembra che anche e, per quanto ci riguarda, soprattutto in Calabria, si apra sempre più il divario fra ciò che si proclama e ciò che è, e non solo nel campo politico e commerciale, ma in quello dei servizi pubblici e privati, nella scuola, nei beni culturali, per non dire del lavoro nero e di una diffusa crudeltà verso gli immigrati, compensata, è vero, da tanti episodi di affettuosa accoglienza. ...Se non usciamo dal nostro provincialismo, fatto di arrogante incompetenza, fraudolenta faciloneria, omertà e nello stesso tempo incapacità di collaborare assieme, sollecitandoci reciprocamente a fare meglio, come calabresi non abbiamo più motivo di esistere.
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