Caro Giuseppe,
condivido in pieno l'indignazione di Natale Zappalà, che conosco solo in maniera epidermica, ma ammetto di leggere molto volentieri nei vari blog, che mi capita di spulciare. Intravedo nel suo approccio speculativo, un pensiero intellettualmente onesto e una verve compulsiva fuori dal comune. Nella sua invettiva si percepisce lo sdegno verso i vacui pour parler dell'intellighentia della "presunta meglio gioventù" della ex ridente cittadina del basso Tirreno.
Agli strali di chi urla dagli angoli delle piazze, o dalle bacheche dei social network, qualunquistici claim pretestuosi e diserta con regolarità sistematica qualsiasi occasione per invertire la tendenza, per non mettersi in mai discussione e avere sempre ragione a prescindere, semplicemente per timore di esporsi nel combattere la stagnante e afasica indolenza generazionale, bisogna rispondere a muso duro, a costo di sembrare presuntusosi.
Per inciso, non guasterebbe un censimento della popolazione universitaria locale, intercettata dagli Atenei di Calabria e Sicilia. Certo andrebbe esaminato attentamente anche il contesto territoriale, con la normalizzazione delle sue degenerazioni malavitose, la politica sterilizzata dei clientes e la cronica e irredimibile mancanza di lavoro, che impoverisce ulteriormente il tessuto socio-economico territoriale. Ma non è questo il tema della discussione. Sono saltate diverse generazioni a Bagnara. Al netto di prudenze linguistiche, i miei pochi coetanei si arrabattano, cercando di resistere all'ineluttabile destino migratorio, tipico della nostra Generazione Tuareg. Mi piace pensare al coraggio di chi resta a "Eboli", a dispetto dei Santi. Immagino ancora l'enorme capitale umano insistente in riva allo Stretto, come animato da una sorta di missione di riscatto, all'insegna di quel motto, mutuato dalle lotte dell'antimafia sociale nella Piana degli anni Settanta, che, un prete coraggoso, don Pino Demasi ama ripetere stesso: "Restare per cambiare, cambiare per restare". Le risorse umane e di qualità, quelli che non si sentono fatalisticamente sconfitti dalla storia, hanno l'obbligo morale, in virtù degli studi e delle letture, di innescare un circuito di crescita socio-politico-economico-culturale, non in quanto portatori di una supponenza intellettualistica o di eroismo di ceto, né pensando di essere gli illuminati, unici depositari dello scibile.
Per non rimanere nelle secche di una disquisizione, peraltro confusa e paludosa, bisognerebbe uscire dalla perniciosa e lamentosa rassegnazione. Si potrebbe lanciare ad esempio un ragionamento partecipativo web 2.0 (per allargare la questione ai "62 internettiani", alla moltitudine web e degli emigranti). Naturalmente, in quanto tale, il monito è destinato a rimanere lettera morta. Costruiamo una rete di idee, ragionamenti, proposte. Raccogliamo - enuncio banalmente - le migliori ambizioni, organizziamole anche in forma elementare e con slogan banali (Il paese che vorrei in dieci punti, quale comunità...), suddividiamole, focalizzando obiettivi e fattibilità, ognuno secondo le proprie competenze. Sistematizziamole in una sorta di manifesto dei volenterosi. Ne verrà fuori un libro dei sogni, che associazioni, partiti politici, organizzazioni potranno abbracciare o ignorare. Sarà una testimonianza vitale di impegno collettivo, di un pressing da parte della società responsabile.
Riporto infine un passo di un saggio breve, che ho avuto modo di leggere ultimamente. Si chiama La scossa, un libello sulla questione meridionale declinata in chiave moderna, pubblicato da Francesco Delzìo, una delle menti più raffinate dei trentenni italiani (almeno così si legge nella quarta di copertina). Sostituendo alla parola Sud e Mezzogiorno il termine "Bagnara", l'appello credo possa fare al caso nostro: "Torniamo a pensare a Bagnara...Chi non può tornare...può fare ugualmente qualcosa. Includa Bagnara nei suoi orizzonti d'azione, o semplicemente di riflessione. Riprendiamoci Bagnara, è la missione della Generazione Tuareg, che le generazioni precedenti hanno clamorosamente fallito". A Bagnara serve disperatamente una scossa (tellurica, sul modello del Big One?), non fermatevi. Sarebbe confortante se a darla foste proprio voi, gli Amici della cultura. Affettuosi saluti.
Un assente giustificato
Claudio Careri
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