lunedì 27 dicembre 2010

Io ti amo ma ti lascio qui a "Gambara"

Da Giovanni Golotta ricevo e pubblico

Quando si incrociano vicende umane obbiettivamente "difficili", la tentazione di formulare un giudizio per offrire di se l'immagine adamantina e magnanima dell’Uomo super partes, lontano per costume e mentalità dalle passioni e vicina al poverello di Assisi è difficile da sfuggire.
Vuoi per natura, vuoi perché per taluni è sempre incomprimibile l'approccio dal coté come dire, deamicisiano delle vicende - di ogni vicenda - vuoi, infine, perché è difficile e soprattutto mal vista la pratica dell'arte di declinare, in ogni circostanza, la modalità caustica, cinica e tuttavia genuina di dare testimonianza alla verità alla maniera di Barney Panofsky.
Certuni cercano di fare stare insieme le cose (approccio deamicisiano e testimonianza della verità), credendo possibile ciò che possibile non è.
Ne vengono fuori prese di posizione da manicomio come quelle del tipo che si scambiano i fidanzati in procinto di lasciarsi: ti amo ma ti detesto; io ti amo, ma come cantava Vinicio Capossela, ti lascio qui a Gambara (voleva dire Gambarie perché cantava appunto a Gambarie); sei più dannoso della plasmopara viticola in un vigneto, ma ciò non mi impedisce di augurarti buon lavoro!
Di fronte a queste, che non fossero il preoccupante manifestarsi di una personalità bipolare, sarebbero anche delle gustose battute alla Paolo Rossi, quando fatte verso politici da politici in sempre provvisorio odore di santità sorge spontanea una domanda: chi le dice 'ste cose, sbagliava prima, quando s’era messo di traverso trascurando la dimensione umana dell'avversario-nemico, o sbaglia ora che coglie quel lato buono che prima s'era lasciato sfuggire e così facendo spalanca le porte, al sospetto che anche lui, all’epoca, avrebbe voluto tanto correre in aiuto del vincitore, solo che ( ahilui!) si trovava da un'altra parte?
Buone feste e un abbraccio affettuoso.

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