mercoledì 25 luglio 2012

Solo dal caos può nascere una stella danzante (Nietzsche, Così parlò Zarathustra)

Da Ignazio Badalì ricevo e pubblico
Starsene in silenzio è stata quasi una necessità. Può essere che impegni di varia natura ne abbiano favorito l’effettiva pratica, ma le motivazioni essenziali hanno ben altra caratura. Di tanto in tanto, stimolato da letture o da approdi (anche casuali) seguendo rotte internet (talune piuttosto azzardate), ho ceduto alla tentazione di gettare su un foglio qualche riflessione. Queste note sparse, colme di cancellature, hanno occupato per un po’ parte del piano della mia scrivania. Rileggendole, anche a distanza di tempo, non ho visto dissolversi, ahimè, quel senso di vacuità già provato al momento della loro compilazione. Ho pensato quindi che certi accadimenti potevano aver segnato il “de profundis” per questa comunità. Pertanto non c’era più nulla da fare; anche se alcuni facevano finta di non averlo compreso e tanti altri non lo avevano capito davvero. A differenza di qualche osservatore, decisamente più ottimista, mi ero convinto che non eravamo più sul ciglio del precipizio ma ne eravamo oramai rovinosamente inghiottiti. In quei frangenti non ho per nulla cullato l’ipotesi che da qualche parte potesse giungere quello che, con un’espressione in voga, viene definito: “un segnale di discontinuità”. Il motivo era semplice: dominando la rassegnazione in ogni ambito, chi avrebbe potuto curarne il lancio? Avevo ragione! Difatti non è successo nulla.
Oggi sono in tanti a dirmi che la nostra cittadina langue. Tanti a lamentarsi della futilità o della pochezza dei motivi oggetto delle sporadiche dispute. L’impressione è che pur essendoci ancora qualcuno che si ostina a dire qualcosa, nessuno ha qualcosa da dire, nella sostanza. Tutto sembra avviluppato da inesorabile decadimento. Anche il confronto politico che in passato ha conosciuto ben altri interventi, dietro il mancato clamore nasconde il più grande vuoto di idee, di proposte e di contenuti che si ricordi. Può accadere pertanto che il confronto per occupare la poltrona più prestigiosa di Palazzo S. Nicola, pur connotandosi come una specie di derby, non riesca a trasmettere alcuna tensione emotiva, tanto meno crea aspettative: appare simile ad una noiosa polemica per la nomina di un amministratore di condominio. La contesa non vede più gli schieramenti disposti a difesa della città, ma fazioni che si affrontano per ghermire la città. La città intesa quindi come bottino da assicurare alla propria parte. Empio campo di battaglia che consegnerà ai nostri giovani un disperato campo di rovine.
Di ciò non mi sento di incolpare nessuno in modo particolare. L’azione demolitrice non può essere e non è opera di un singolo, né di una ristretta cerchia di reprobi. E’ il prodotto invece del disimpegno delle èlite che avrebbero dovuto avvertire il dovere di svolgere quelle funzioni che sono proprie di una classe dirigente e che hanno sdegnosamente ricusato tale ruolo. A tal proposito, mi chiedo che fine abbiano fatto quelle frange oltremodo faziose, conosciute in gioventù e di cui abbiamo dovuto sopportare per anni l’ostentazione di una supposta superiorità culturale; composte in buona parte da giovanotti di sinistra con tanto di puzza sotto il naso. Saranno ancora impegnati nella ricerca spasmodica di quel mitico “NUOVO” col quale si sono ossessionati per anni e che in taluni luoghi produce mostruose creature mitologiche (sapete, quelle che per metà sono una cosa e per l’altra metà un’altra). Si contorceranno all’interno di aggregazioni che vivono una crisi che appare irreversibile. Più che partiti sembrano reperti del passato incapaci di offrire alternative. Rottamarli, come propongono al loro interno, sarebbe saggio, anche se è molto probabile che continueranno a fingere di esistere.
Rinunciare all’intento di tacere non è purtroppo il segno che qualcosa sia cambiato. Ma c’è una ragione. Un elemento di novità, enorme, che penso sia in grado di sovrastare i profili ideologici che quelli della mia generazione hanno conosciuto. Il nostro Paese (inteso come comunità nazionale) vive un momento cruciale. C’è un nemico, in parte alle porte e in parte già infiltrato nelle strutture essenziali dello Stato. A questo punto è insensato subordinare ogni impegno attardandosi in valutazioni al fine di comprendere se ne vale più o meno la pena. Una tacita chiamata alle armi non si discute; pur controvoglia bisogna rispondere presente. Si tratta quindi di resistere per vivere o di cadere in piedi, non serve farla troppo lunga. Stiamo assistendo ad un autentico ribaltone dei valori tradizionali e cristiani che pongono l’uomo come fine e il denaro come mezzo. Il dogma del credo liberale dominante pone come finalità primaria il capitale e come strumento la persona umana. Questa barbarie è imposta da una limitatissima èlite finanziaria internazionale che domina il mondo e decide sulle sorti di miliardi di cittadini che progressivamente si vuole trasformare in sudditi. C’è una precisa strategia che interessa l’Europa. Il potere finanziario, cioè esattamente quanti negli ultimi anni hanno messo in dissesto le economie europee, invece di essere puniti o addirittura espropriati, stanno occupando tutti gli spazi del potere. Da Bruxelles e Francoforte pretendono di trattare i popoli come schiavi. E avranno gioco facile fino a quando i luoghi della politica saranno popolati dalle tante anime morte che non conoscono il significato dell’espressione: “sovranità nazionale”. Ciò è stato avvertito anche dalla nostra gente e ha prodotto un moto di profonda sfiducia verso una classe politica che non rappresenta gli interessi primari del popolo italiano, cioè il fallimento della democrazia parlamentare e con essa dei maggiori partiti politici che la esprimono.
Destra e sinistra si sono ridotte ad essere semplicemente delle “ispirazioni culturali”. Per quanto riguarda le nuove categorie della politica: chi è di destra è bene che non lo sia poi così tanto, mentre a sinistra ci si impegna per far convivere il rude metalmeccanico col raffinato banchiere. Anche questa nuova antitesi, imbrogliona, spinge i cittadini che malgrado tutto hanno ancora voglia di impegnarsi, verso un qualcosa di ALTRO che presuppone una commistione rispetto alle antiche distinzioni.  Non è una novità assoluta, del resto. E’ già avvenuto anche nel recente passato e qualche traccia è possibile riscontrarla nel presente. Esse hanno coabitato nel fascismo, nella DC, successivamente nella Lega Nord e per ultimo nel Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Quindi non è assolutamente vero che per cooperare allo sviluppo di un territorio è indispensabile una omogeneità, se non ideologica, almeno di “visione” tra coloro che sposano il progetto politico. Specialmente quando alle “visioni” non viene conferita alcuna legittimazione politica. Può essere, invece, che dai differenti modi di intendere la vita e dalle diverse esperienze, sia possibile trarre, con più lucidità, quanto è utile per conseguire la conquista di un futuro che rischia di non esserci. E’ indispensabile che le forze migliori espresse dal territorio rinuncino a scontrarsi (magari sotto le insegne di schieramenti politici nazionali falsamente opponenti e che comunque hanno già scritto dalla BCE il compitino da svolgere). Quanti mostrano di possedere sensibilità politiche sconosciute ai più devono collaborare fra di loro per tentare di scalare le balze dello sviluppo. Scontrarsi in sede locale per promuovere il successo di chi (ai massimi livelli) simula aspre contese (roboanti quanto fasulle) per poi ritrovarsi a cena insieme e concordare, magari utilizzando i cunicoli che collegano i palazzi delle istituzioni romane, non mi pare il massimo della perspicacia.

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